#AdEstDellaSignora
La Coppa dei Campioni, il trofeo dalle grandi orecchie, si è specchiata due volte negli occhi azzurri come le acque del Danubio di Vladimir Jugovic: la prima in una Belgrado sull’orlo della guerra, la seconda nella Torino operaia quando indosso aveva la gloriosa casacca bianconera della Juventus.
Quella sera a Roma in occasione della finale di Champions League fra Juventus ed Ajax, il centrocampista slavo natio di Trstenik, classe 1969, che Lippi volle fortissimamente nell’estate del 1995 per rafforzare in quantità e qualità un centrocampo alla prova del fuoco della Coppa maggiore, guardò truce negli occhi Van der Sar, portierone dell’Ajax, prima di trafiggerlo su rigore. Era una tiepida notte romana, con lo Stadio Olimpico come sfondo di una finale di Champions League: è questa l’immagine che i tifosi bianconeri conserveranno per sempre nella loro memoria.
“Del tiro dal dischetto di Roma, se ci penso, sento ancora le stesse sensazioni di allora. Era l’ultimo, quello che valeva la Coppa. Quel goal mi ha permesso di entrare nella storia di un club glorioso come la Juventus e di vincere la seconda Coppa Campioni. Cambierei qualcosa di quella notte? Mi gusterei maggiormente il successo. Subito dopo la finale di Roma andai a giocare con la mia Nazionale invece di festeggiare con i compagni”, ricorderà anni dopo lo stesso Jugovic.
Quando arrivò a Torino dalla Sampdoria, in compagnia di Attilio Lombardo e dello “Zar” Pietro Vierchowod, non era più un ragazzino e il calcio che contava lo masticava oramai da anni. Cresciuto nella Stella Rossa, dove esordì giovanissimo e dove vinse una storica Coppa dei Campioni, mostrò con la maglia della Sampdoria di saperci fare anche nel campionato più difficile del mondo, così com’era considerata all’epoca la Serie A italiana, dopo aver incantato in Jugoslavia.
Iniziò a giocare a dodici anni in una piccola squadra dove, però, rimase solo sei mesi, per essere subito dopo tesserato dalla Stella Rossa, con la quale fece tutta la trafila delle giovanili, sino ad arrivare alla prima squadra. L’esperienza nel settore giovanile fu molto importante, perché non giocò mai con i ragazzi della sua età, ma sempre con quelli più grandi, dai quali imparò presto a difendersi. A sedici anni esordì in prima squadra, con la gloriosa maglia della Crvena Zvezda, in occasione di una partita amichevole. A diciotto anni fece il servizio militare ancora sotto la Repubblica Confederata di Jugoslavia e, al suo ritorno a Belgrado, dovette affrontare una situazione difficile e prendere una decisione che si è poi rivelata molto importante per il proseguito della sua carriera: l’allenatore della Stella Rossa infatti non lo considerava per niente, così, dopo solo una partita decise di andare nel Rad, squadra molto meno ambiziosa, dove trovò un bravo allenatore, il quale lo aiutò ad esprimere al meglio le sue capacità. Con la maglia del Rad “Vlade” incanta, tanto da indurre la Stella Rossa nel frattempo affidata a Ljupko Petrovic a puntare, nuovamente, su di lui.
Era il 1990/91, la stagione che i tifosi della Zvezda ricorderanno per sempre con i biancorossi belgradesi in gradi di laurearsi campioni d’Europa. Jugovic fu un colonna portante di quella squadra. Il mondo si accorse definitivamente di lui a Tokio con la vittoria nella Coppa Intercontinentale, conquistata nella capitale giapponese nel dicembre del 1991; in quell’occasione due dei tre goal con i quali gli jugoslavi batterono i cileni del Colo Colo portarono la sua firma.
“A Tokyo ho capito che avrei davvero potuto farcela nel difficile mondo del calcio.” Ricorderà Vlade anni più tardi.
Arrivato a Torino, Vladimir aveva le idee chiare: voleva vincere!
La Juventus che aveva già Conte, Sousa e Deschamps a centrocampo adesso si ritrovava pure questo giocatore tosto, che sapeva contrastare mettendo unghie e denti, ma anche impostare e, per di più, in grado di tirare a rete da qualunque posizione, centrando molto spesso la porta. La squadra che spazza via Steaua Bucarest, Rangers Glasgow e Borussia Dortmund, nella prima tornata della Champions, capì, immediatamente di aver trovato un puntello adeguato ai nuovi bisogni europei. Anche in campionato Vlade ci mise poco a rendersi utile, infatti il 27 agosto del 1995, prima giornata al Delle Alpi contro la Cremonese che tenta le barricate mettendo comunque in difficoltà la Juventus, ci pensò lui a sbloccare con un inserimento ed un diagonale chirurgico che aprì la goleada bianconera.
Per la Coppa, invece, l’acuto arrivò in semifinale: 3 aprile 1996, a Torino scendeva il Nantes, bisognava chiudere il conto nel match di andata per non rischiare una trasferta caldissima in Francia. Segna Vialli, raddoppia Jugovic, perentorio, con una bomba dalla distanza. Fu il prologo alla notte dello stadio Olimpico, 22 maggio 1996. La Champions alzata al cielo da Vialli fu l’ultimo atto, il penultimo fu il rigore decisivo trasformato da Vladimir.
Jugo si confermò anche nella stagione successiva: prima la Coppa Intercontinentale a Tokyo con una prestazione sopra le righe, poi la Supercoppa a spese del Paris Saint-Germain e infine lo scudetto, al quale dedicò trenta partite e ben sei reti. Storica la doppietta al Milan nella serata del 6 aprile 1997, da raccontare ai nipoti. A San Siro, la Juventus travolse il Milan con un 6-1 che non diede spazio a repliche rossonere, di Jugovic il primo e il terzo sigillo. Il suo ultimo goal è ancora in notturna, il 15 maggio: il Piacenza fu travolto 4-1 mentre il Parma pareggiava col Milan ed usciva di scena, consegnando in anticipo il tricolore ai bianconeri.
L’avventura juventina di Jugović si chiuse qui. Due stagioni con molti successi e un mare di soddisfazioni, scudetto più tutte le coppe, Intercontinentale compresa. In totale, settantaquattro partite e dieci reti, due anni pienissimi.
Danilo Crepaldi